Roma Scuola Aperta 2023

Casa dello Spettatore curerà un modulo di educazione alla visione presso l’I.C. Via Anagni all’interno del progetto “ROMA SCUOLA APERTA”, nell’ambito del programma “Scuole aperte il pomeriggio” a.s. 2022-2023 promosso da Roma Capitale.

Calendario

9 marzo 2023 ore 17.00 presso l’I.C. di Via Aanagni
incontro di avvicinamento alla visione dello spettacolo

15 marzo 2023 ore 21.00 Teatro Ambra Jovinelli
Visione dello spettacolo La bottega del caffè.

LO SPETTACOLO

Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart Production, Fondazione Teatro della Toscana presentano

Michele Placido in
LA BOTTEGA DEL CAFFÈ
di Carlo Goldoni

con Michele Placido
e con (in o. a.) Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando
Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos
regia Paolo Valerio

Sono partito da un’immagine, un’ispirazione sollecitata da un testo di Georges Perec, “La vita: istruzioni per l’uso”. Lo scrittore francese immagina di poter “aprire” la facciata di un palazzo parigino e di osservare e raccontare le vite che scorrono nei diversi appartamenti. Immaginando di traslarla al microcosmo posto al centro de “La bottega del caffé”, quest’immagine diviene prima paesaggio architettonico, poi interiore, poi universale… Lo spunto ha influenzato in particolare il progetto scenografico, la creazione del luogo fisico in cui assieme agli attori mettiamo in scena e raccontiamo “l’irresistibile fascino del pettegolezzo” che anima questo capolavoro di Carlo Goldoni.
È un campiello veneziano, non particolarmente aristocratico – lo collocherei nel sestiere di Cannaregio piuttosto che a San Marco – e lì, fra una casa da gioco e una bottega di caffé, si muove una moltitudine di personaggi assieme ad un grande protagonista, Don Marzio.
Ma – e in questo si riconosce, a mio avviso, la grande qualità della commedia – ognuno di loro possiede, nel disegno di Goldoni, una qualità straordinaria: l’autore riesce a tratteggiare ogni figura attraverso sfumature e intrecci che alla fine le rivelano. Ecco allora che all’immagine iniziale si è aggiunta la riflessione suggerita da un saggio di Davico Bonino, dove si legge “tradurre nel minimo spazio scenico il massimo della socialità”: è questo il nostro campiello, il nostro microcosmo.
Vi seguiamo le vicende di ognuno dei personaggi, e tutte conducono a Don Marzio, che si rivelerà la chiave della commedia, un personaggio ambiguo e alla fine catartico. Ho avuto la fortuna di collaborare con un assieme di professionisti molto stimolanti, a partire dai coproduttori, che ringrazio: la privata Goldenart Production e Marco Giorgetti direttore della Fondazione Teatro della Toscana, che con sensibilità hanno abbracciato il progetto. E poi gli attori della Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia – che conosco ormai da diversi mesi – i giovani interpreti che hanno lavorato con i coproduttori della Goldenart e soprattutto, nel ruolo di Don Marzio, Michele Placido che in queste fasi di lavoro è stato un maestro e un “capocomico” generoso, ha rivelato grande creatività, intensità e intelligenza rispetto a un personaggio che se da un lato può essergli affine, dall’altro ogni sera ci riserva sorprese nuove.
È racchiuso in Don Marzio il misterioso fascino di questo testo, spesso riletto in chiave contemporanea, che ha conquistato autori come Fassbinder, e che anche in questa nostra edizione aggancia senza fatica, senza necessità di sottolineature, l’attualità delle “fake news” quando le chiacchiere del campiello si trasformano in accuse feroci, o un certo gusto per il voyeurismo, se si invita il pubblico a intrufolar lo sguardo all’interno di camerini e abitazioni dei personaggi.
Il personaggio di Don Marzio di queste curiosità, di queste distorsioni del vero, è il principe: seduto al caffè, osserva e intriga nelle vite degli abitanti del campiello, da cui volutamente si distacca con l’uso di un linguaggio crudo, brutale, divertente ma politicamente scorretto (soprattutto nel rapporto con l’universo femminile) ed autoinvestendosi di una sorta di superiorità (è nobile, viene da Napoli…). Una estraneità che pagherà cara: lo rende alla fine “il diverso”, il “capro espiatorio” da emarginare. Ma la sua uscita di scena rivela le ambiguità e i lati oscuri di ogni componente della piccola società del campiello, assicurando al “lieto fine” un sapore amaro e alla commedia una dimensione misteriosa e molto affascinante da indagare.
Nel perfetto meccanismo drammaturgico de “La bottega del caffè”, nella sua incantevole leggerezza, tante sono le tracce di questo lato d’ombra: basti pensare alle molte battute banali fra i personaggi (“che bella giornata… “pioverà”…), un linguaggio esteriore che cela situazioni destinate a degenerare e caratteri solo apparentemente limpidi.
Ho voluto alludere a questo mondo sotterraneo richiamando il carnevale, a cui la commedia rimanda, attraverso alcuni momenti in cui gli attori si muovono in scena indossando delle bautte bianche. Maschere che servono a festeggiare ma anche a celare sentimenti e intenzioni: assieme all’aspetto in parte “scheletrico” della scenografia, segnano da un lato un legame con il mondo goldoniano e al contempo una frattura, un possibile uso simbolico e “altro” degli elementi della tradizione.
Fondamentali nella lunga progettazione dello spettacolo sono stati gli apporti di preziosi compagni di viaggio: la scenografa Marta Crisolini Malatesta, il costumista Stefano Nicolao, Gigi Saccomandi che ha concepito le luci, Antonio Di Pofi per le musiche e Monica Codena per i movimenti di scena.
Sarà una vera emozione alzare il sipario su questo nuovo allestimento de “La Bottega del caffé” a Trieste – “città del caffé” per storia, cultura e tradizione – in una regione che capisce e ama Carlo Goldoni, ed in un un anno speciale per chi fa teatro: centenario della nascita di quel Giorgio Strehler, triestino, che proprio nell’amore per il teatro si sentì vicino all’autore veneziano. «Amore per questa piccola macchina di carta – scrisse ai suoi attori – così complessa, così fragile, in cui noi ci muoviamo, cercando di non guastarla, di non distruggerla, ma di farla volare in alto, il più alto possibile, sulla punta delle nostre dita, con il battito dei nostri cuori».

Paolo Valerio

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2024-03-12T18:26:50+00:00