Il rischio di crescere. Il rischio di leggere

Il rischio di crescere. Il rischio di leggere è il titolo di un progetto ideato da Giorgio Testa, per il Circuito Teatrale Campano, realizzato tra il 1991-1993. Il seminario/laboratorio su alcune tragedie classiche, vide la partecipazione di insegnanti, operatori teatrali e giovani in difficoltà. La ricognizione sul “personaggio adolescente” nella tragedia greca ebbe, come prima tappa, Ifigenia in Aulide di Euripide, che divenne Ifigenia in Nisida poiché si svolse presso il minorile di Nisida. Il Filottete di Sofocle costituì la seconda tappa, col titolo Neottolemo tra arco e ferita, presso il centro CAM (recupero della tossicodipendenza) di Vico Equense. La tappa conclusiva, sempre a Vico, dal titolo Terzetto a(f)fatto compiuto, ebbe Argo come sfondo e tre giovani – Oreste, Elettra, Pilade – come li vediamo agire e tormentarsi nell’ Oreste di Euripide, ma con rimandi pure alla Elettra di Sofocle e dello stesso Euripide, a Eschilo delle Coefore e al Pilade di Pasolini.
Il saggio Creazione di uno spazio scenico: incontri umani attraverso processi teatrali di Isabelle Gatt, docente di Drama and Theatre & Creativity and Arts alla Faculty of Education dell’Università di Malta, affronta il tema del teatro-terapia e, nel far questo, l’autrice fa riferimento alla tappa “Filottete” che la vide partecipe.
Per questo argomento e per il riferimento all’esperienza, al di là dell’amicizia, Isabelle ci ha autorizzato ad intervenire sul suo saggio, per una sintesi e una lettura in un italiano più fluido. Quanti interessati hanno il riscontro della pubblicazione inglese in “Critical Pedagogy for Healing” a cura di Tricia Kress, Christopher Emdin e Robert Lake (Bloomsbury Publishing Plc. 2021).
Loredana Perissinotto

Creazione di uno spazio scenico: incontri umani attraverso processi teatrali

[…]

Immaginate di entrare in una stanza scarsamente illuminata con alcune candele disposte in semicerchio e, al centro, un giovane alto e snello con capelli castano chiaro, leggermente spettinati, seduto su uno sgabello, che suona la più triste delle melodie su una vecchia chitarra acustica vintage,
colore di uno sprazzo di sole. L’uditorio è in silenzio e pienamente immerso nell’atmosfera creata dalla musica. Lui guarda le sue dita sul manico della chitarra e la fa piangere. Il giovane chiude gli occhi per un momento, mentre le sue dita navigano attraverso una complessa improvvisazione che porta a termine la musica. Silenzio. Ha gli occhi ancora chiusi e, improvvisamente, alza lo sguardo direttamente sull’uditorio che siede sul  pavimento vicino a lui, appena oltre il semicerchio di candele. Sembra che il suo sguardo sia diretto a ciascuno dei presenti.  Poi, con una voce profonda e gentile, si prende il suo tempo per rivelare la sua storia intima.

Ho avuto tre donne nella mia vita. che mi hanno amato e che ho amato follemente. Mia madre, oh la mia cara mamma, pensava il mondo di me, lei mi ha amato dal secondo in cui mi ha concepito e per tutta la mia vita fino alla sua fine … una fine di cui mi sento responsabile. Ha sofferto così tanto quando mi guardava andare sempre più dentro una spirale di dipendenza. Mi ha dato tutto e, in cambio, io le ho dato false speranze ancora e ancora. Mi spiace così tanto ed ora mi manca tanto. Si ha una sola madre, soltanto un amore puro come quello …

Pausa, gli occhi luccicanti mentre il giovane guarda ancora i presenti, dritto negli occhi. Profondo respiro.

E poi Angela, il mio primo amore, avevamo solo tredici anni quando ci siamo conosciuti. Fu amore a prima vista. Era snella con lunghi setosi capelli biondi, con la riga centrale. Allora aveva le iridi del blu più profondo, oh sì, mi perdevo in quegli occhi. Eravamo così felici insieme, la vita era così semplice e ci sentivamo così liberi. Siamo cresciuti insieme, perciò potevo leggere i suoi pensieri prima che lei parlasse, e lei mi guardava negli occhi e mi capiva senza bisogno di parole. Era tutto così puro e bello … pura magia ogni volta che ci incontravamo … finché mi sono perso nel caos della mia abitudine. Allora non la guardavo negli occhi per paura che sapesse. Lei ha imparato a conoscere; una volta la ho guardata negli occhi e ho potuto vedere il dolore che cercava di nascondere. L’ho fatta soffrire tanto, l’ho fatta piangere e, sai una cosa? Non potevo, non volevo sentire nulla. Lei ha provato di tutto per farmi smettere, io la stavo lentamente distruggendo, e poi la ho spinta via e alla fine lei se n’è andata. 

Pausa

La mia terza donna

Pausa. La sua voce freme d’emozione

Oh, era così bella che non ho parole per descriverla. Sono caduto sotto il suo incantesimo. Ogni notte teneva il mio capo in grembo e mi accarezzava i capelli, io guardavo i suoi occhi neri, insondabili e selvaggiamente luminosi, finché cadevo nel più dolce e colorato dei sogni. Ho ancora così tanta voglia di lei.

Sguardo triste in volto, china il capo per guardare il manico della chitarra e farla piangere ancora, sempre più lievemente, finché si ferma. Tutto è fermo ad eccezione del tremolio delle candele. Per un certo tempo c’è silenzio assoluto nell’uditorio, poiché quello di cui ha parlato è un affondo.
L’inquietante consapevolezza che un uomo intelligente, chiamiamolo Paolo, negli ultimi mesi della sua riabilitazione, un uomo che aveva fatto un lavoro così duro per tenere la sua dipendenza sotto controllo, parlasse della droga sentendone ancora il fascino, il fatto che egli avesse ancora una pericolosa vulnerabilità a questo punto, mi faceva venire i brividi alla schiena. Il ricordo di quella sera del 1992 è ancora distintamente vivo nella mia mente. Questa era la mia prima esperienza di lavoro con il teatro in un centro terapeutico residenziale per dipendenza da droga. L’esperienza mi ha aperto a nuove comprensioni, nuove prospettive e mi ha reso consapevole del potenziale insito nell’utilizzo del teatro come innesco e strumento per l’espressione, la scoperta e la crescita personale. Ero stata invitata a partecipare a questo seminario, da Loredana Perissinotto, una docente tra le più perspicaci nel corso universitario di Studi teatrali da me seguito (la considero a tutt’oggi una dei miei guru). Il seminario era condotto da Giorgio Testa, psicologo praticante e operatore teatrale. Per un’intera settimana abbiamo vissuto insieme e lavorato intensamente sul “Filottete” di Sofocle, avendo come base un quaderno di lavoro realizzato da Giorgio. Le “attività” del quaderno includevano il colorare immagini, la lettura di estratti del Filottete e confronto di traduzioni, le narrazioni da parte del conduttore e dei partecipanti per collegare i vari estratti. Vi erano inclusi anche brevi attività di scrittura, risposte alle domande sul ruolo o sui pensieri di un personaggio, stimoli per la discussione e per la creazione di presentazioni personali al fine di arrivare ad una creazione collettiva finale basata sui fattori scatenanti della tragedia. Le tecniche teatrali del work in progress utilizzate per favorire i partecipanti ad abitare la tragedia greca, mi erano familiari (preparazione accogliente dello spazio, giochi di socializzazione, libere associazioni dell’immaginazione, spunti d’improvvisazione con regole, giochi di ruolo, ecc.), poiché le utilizzavo, quale insegnante di teatro all’epoca, all’interno del TIE (Theatre in Education). Conoscevo queste strategie e sapevo quanto fossero efficaci, ma il testo di Sofocle, il contesto e il destinatario adulto rendevano questa esperienza e le conseguenti riflessioni molto più profonde, tanto più che non avevo mai lavorato con persone dipendenti da droga. Quando sono arrivata, sono stata accolta calorosamente nel gruppo, benché i partecipanti mi fossero estranei, ad eccezione della Prof. Perissinotto. Eppure, alla fine di quel primo giorno, mi sentivo come se li avessi conosciuti da lungo tempo. Nei miei appunti del primo giorno, avevo notato come Giorgio fosse riuscito a creare un’atmosfera sicura e solidale sia con la strutturazione della giornata, sia attraverso gli stimoli e il lavoro svolto con guida sensibile e dialettica. A ciascuno di noi è stato dato il tempo di esprimere e rivelare se stessi, la possibilità di evidenziare le reciproche somiglianze e celebrare le nostre differenze. Attraverso il suo modo, le sue capacità di leadership e un’attenta pianificazione, Giorgio era riuscito a creare uno spazio di gioco, usando il teatro e le arti come degli inneschi per la personale espressione, scoperta e crescita di ognuno. Lo spazio era stato trasformato in un luogo in cui era possibile, per i partecipanti, lavorare livello fisico, psicologico ed emotivo. Essi si sentivano sicuri di giocare, esplorare e rischiare di usare il Filottete di Sofocle come pre-testo, punto di  accesso alla scoperta e alla creazione a livello personale e collettivo.

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Il terzo giorno, Paolo ha eseguito la sua performance autobiografica, condividendo con noi la sua “trasgressione sociale”. La sua performance musicale biografica ha umanizzato il tossicodipendente, aiutando il pubblico a comprendere il significato, il dolore, la confusione e le lotte della sua dipendenza, nonché il suo percorso attraverso la riabilitazione. Ricordo distintamente il silenzio senza fiato alla fine della performance: quello che Paolo aveva appena condiviso era andato in fondo a noi. Il mio cuore è andato a Paolo che aveva avuto il coraggio di raccontare la sua storia così magnificamente. A Paolo piaceva suonare e scrivere poesie, ma non era un attore esperto. Eppure, la sua performance è stata buona come quella di un professionista, poiché ha usato il timbro vocale, le pause, il ritmo, l’emozione, l’espressione facciale, il contatto visivo e il silenzio a pieno effetto. Questa sua storia intima scorreva esteticamente, fisicamente e verbalmente; ma era più del racconto della sua storia in quanto includeva un discorso critico autoriflessivo. Le mie riflessioni, nel rielaborare ciò a cui avevo assistito quella sera, riguardavano anche il modo in cui la tragedia greca e le tecniche teatrali del work in progress avevano influenzato il gruppo, incoraggiando le persone ad essere aperte a molteplici idee e opinioni, a trovare modi per comunicare, collaborare, condividere, co-creare pratiche di performance comunicative che a loro volta erano aperte alla discussione, alla riflessione, alla decostruzione e alle ricostruzioni. Solo un gruppo coeso poteva permettere che una tale rivelazione avesse luogo. Come residente di riabilitazione, Paolo avrebbe avuto sessioni di terapia di gruppo con gli altri ospiti, per condividere la sua storia personale. La terapia di gruppo è un processo che aiuta a sviluppare un senso di comunione, compassione sincera e, in ultima analisi, rende la guarigione emotiva. Ma, in questo caso, la dinamica era diversa: Paolo si stava aprendo a un gruppo di individui che non condividevano la sua esperienza di tossicodipendenza. Il fatto che abbia aperto il suo doloroso viaggio personale, prima attraverso le letture e le discussioni su Filottete, poi narrandolo attraverso la performance solista, in cui ha riconosciuto il suo rimorso, ha richiesto coraggio. Il coraggio di riconoscere gli errori, che spesso non viene valutato in un mondo più incline al negativo che al positivo.

Ho parlato con lui, alla fine del seminario: mi ha espresso la sua felicità per una ritrovata fiducia in se stesso, un senso di autostima e l’aver scoperto che, oltre alla sua musica e poesia, anche il teatro l’aveva aiutato a provare sensazioni intense oltre a un caldo sentimento di comunità. Nei miei appunti, avevo annotato, le sue parole: “… nuova esperienza che mi ha dato sensazioni intense… ho sentito che potevo rischiare, perché mi sono sentito protetto da un senso di gruppo che mi ha dato il tempo per scoprirmi…. facendo delle cose nuove…. … il lavoro mi ha dato una carica. Sembra che il tempo questa settimana si sia dilatato e che vi conosca tutti da una vita. Grazie”

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Questo è stato il primo di due seminari sulla tragedia greca a cui avevo partecipato con Giorgio Testa. Da allora, ha ideato circa 10 diversi opuscoli e tenuto 30 seminari. I testi del quaderno di lavoro sono principalmente sulle tragedie greche, sebbene abbia anche usato le tragedie di Shakespeare e opere più moderne di Čechov e Pinter, ad esempio. Ho discusso con Giorgio il processo di progettazione del percorso di tale lavoro…

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Isabelle riporta il suo dialogo con Testa, a cui chiede gli obiettivi di questi progetti teatrali. Testa ci tiene a precisare che è il suo amore per il teatro a muoverlo e non il suo lavoro di psicologo. La pedagogia teatrale e la relativa didattica mettono insieme esplorazione, conoscenza, interpretazione, lettura, esercizi, risonanze…

La lettura collettiva, in cui tutti i partecipanti sono allo stesso livello e ciascuno offre il suo contributo, è già di per sé un’esperienza educativa. La lettura intensa di una tragedia, resa più significativa attraverso i testi del quaderno di lavoro e le attività artistiche, fatta da un gruppo di persone, che vivono insieme per un’intera settimana, condividendo l’esperienza, ha molti risvolti formativi. Giorgio afferma che l’aspetto terapeutico nasce essenzialmente dall’incontro di un gruppo di persone che sperimentano la bellezza e il potere artistico della tragedia greca, quando vi si scava in profondità. Mi racconta che la fase di preparazione del quaderno di lavoro, progettato nel dettaglio, richiede molta cura, pensiero e riflessione. Ogni esercizio ha lo scopo di aiutare a comprendere aspetti importanti della tragedia come, ad esempio, i disegni, alcuni individuali e altri collettivi; vanno calibrate le unità da svolgere in silenzio e altre discutendo. Lui stesso ha cercato di capire alcuni aspetti del modo in cui un adolescente affronta il dolore e si assume il rischio. Alla fine questo è ciò che l’aiuta a crescere. Un altro buon motivo per scegliere questa particolare opera teatrale per il seminario è stato il tema della sofferenza, della malattia e del dolore. La complessa descrizione da parte del Coro dei suoni che Filottete emette nella sua sofferenza, ci immerge immediatamente in quel vivere una vita di dolore e solitudine. Filottete parla delle ferite del protagonista, delle ferite agoniche, delle ferite a cui i testimoni rispondono in modo diverso ma che lo isolano. Uno dei compiti assegnato al gruppo, fu quello di esprimere fisicamente il dolore di Filottete, un esercizio fatto in totale silenzio. Il dolore espresso era individuale, ma il collage del collettivo ebbe un effetto profondamente potente. Me lo ricordo ancor oggi, si poteva solo udire il respiro l’uno dell’altro e sentire il dolore.

E fu così che Paolo, sentendosi accolto e sufficientemente al sicuro nel gruppo volle condividere il proprio dolore. Sentiva che il gruppo avrebbe ricevuto la sua storia proprio come aveva ricevuto Filottete. Si offrì di farlo di sua libera volontà: aveva una storia che doveva raccontare…
Il potere di leggere collettivamente la tragedia, con le sue emozioni crude e potenti, è stato esplorato da altri operatori teatrali che lavorano con diverse comunità a rischio. C’è un’atemporalità e una profondità in queste antiche tragedie che tocca profondamente le persone e la mia ricerca ha rivelato vari programmi di trattamento che si concentrano sulle tragedie classiche e moderne.

Il saggio di Isabelle prosegue con un breve excursus in ambito anglofono su programmi di guarigione basati sul teatro, che usano la tragedia per esplorare i traumi personali. Vi inserisce anche un’intervista a Giorgio Testa del 2020, intervista fatta non in presenza ma a distanza (Roma-Malta) e via social media, essendo nel frattempo scoppiata la pandemia. Giorgio ha deciso di sostituire questo testo con la “lettera aperta”, qui di seguito inserita, sembrandogli più interessante delineare la cornice storica di questa avventura teatrale, culturale e formativa. Ecco il breve, quanto intenso racconto di quando, come, perché e con chi ebbe inizio questo suo percorso d’incontro con testi classici.

Cara Loredana

lo stralcio dal bel saggio di Isabelle che meritoriamente presenti qui e sul quale ho anche avuto modo di confrontarmi con lei in sede di stesura, per telefono e nella clausura imposta dal terribile Covid, mi ha riportato non senza emozione a quella esperienza di quasi trent’anni fa e alla lunga ricerca di cui fu tappa fondamentale. Come tu ricordi sopra, la lettura del Filottete di Sofocle faceva parte di un progetto di tre incontriseminario che come indicato dal titolo: “Il rischio di leggere Il rischio di crescere”, intendeva intrecciare insieme una pratica di lettura del testo drammatico, come avventura e scoperta, condotta in gruppo, in un tempo lungo, con soste predisposte, e una riflessione sulla condizione adolescenziale a partire da figure del mito che di questa condizione esemplificavano i dilemmi più ardui. La forma di “trittico a tema” del progetto non ha avuto più seguito nella mia esperienza, ma la ricerca intorno alla lettura del testo drammatico aveva un passato e ha avuto un futuro. Da qualche tempo ne sto ricostruendo la storia ordinando e ragionando i materiali del mio archivio, ma sono agli inizi e via via vado prendendo coscienza della difficoltà di un’impresa che ogni momento si deve misurare con documenti inerti se non interpretati, manoscritti indecifrabili dell’era pre-computer, lacune della documentazione e della memoria, agguati della nostalgia per momenti di vita e di conoscenza che sembrano di un’altra era…comunque, amica mia, a integrazione di quel che scrive Isabelle e aggiungi tu, penso possa essere utile, ritornare alla data inaugurale della ricerca.
Mentana, 24-25 Aprile 1987. Titolo: Sulle tracce di Macbeth, committenza: La Grande Opera, Compagnia di Teatro Ragazzi (non ricordo se di accompagnamento a uno spettacolo già compiuto o in preparazione, ma ricordo che il gruppo dei partecipanti fu variegato per età e professioni, e sicuramente motivato a un lavoro culturale se accettarono di dedicargli due intere giornate festive!).
Naturalmente l’idea non mi nasceva dal nulla era lo sviluppo, in un contesto teatrale, della ricerca intorno alla Didattica della lettura di cui mi ero occupato per anni nel gruppo degli insegnanti dell’MCE Romano. Riflettendoci oggi, penso che questo estendere a opere drammatiche un lavoro che fino ad allora aveva avuto a riferimento per lo più testi narrativi, sia stato il punto di passaggio verso un ulteriore sviluppo della ricerca che prendendo a oggetto la rappresentazione teatrale, assunta come testo spettacolare, non a caso ho poi chiamato Didattica della visione. Comunque in quell’aprile lontano, a premessa del testo di Shakespeare riedito per l’occasione in forma di album di lavoro (costruito allora artigianalmente con forbici e colla e supporto di fotocopiatrice, ovviamente…altra era!) scrissi questa premessa che, salvo che per un punto che poi ti segnalerò, è rimasta invariata per tutte le 34/35 volte in cui questa modalità di lettura seminariale di un testo drammatico si è ripetuta (o dovrei dire: replicata?) con le variazioni richieste, di volta in volta, dalla natura dell’opera, dalle caratteristiche del gruppo e del contesto committente… e dalle fasi del mio ricercare.

LEGGERE MACBETH

Uno spettacolo teatrale, quando consista nella messa in scena di un testo drammatico ha sempre, come momento preliminare, una lettura. In senso stretto: un occhio che segue sulla pagina una scrittura. La scrittura di un testo drammatico, però, ha la particolarità di essere fatta di battute e didascalie che rinviano ad una esecuzione, vocale e scenica, e che pertanto non possono esaurirsi nell’incontro tra pagina e lettore. Ciononostante  testi drammatici, pensati e composti per la scena, seguitano ad essere letti come se fossero racconti o romanzi. Dopotutto vi sono all’opera personaggi cui succede e che fanno succedere qualcosa, e dunque è inevitabile coglierne soprattutto il fascino narrativo e verbale. Senonché, in questo modo, si perde il proprio del testo drammatico, che è per l’appunto la parte che in esso rimanda ad una esecuzione viva e presente, fatta di spazio, tempo, corpi e suoni. E’ possibile, allora, un leggere teatro con occhi teatrali? Se ne può fare esperienza? Sicuramente tale modo di leggere è per professione quello tipico dell’attore e del regista, ma è altrettanto sicuro che nemmeno il più sprovveduto dei lettori può fare a meno, mentre legge, di proiettare nel “teatro della mente” una sua messinscena del testo. Entrare in questa lettura non professionale eppure già teatrale di un testo drammatico, sperimentarne le condizioni, verificarne il valore, è lo scopo che si propone il seminario su Macbeth. Si tratta di mettersi insieme a leggere il celebre dramma di Shakespeare confrontando le modalità con cui ciascuno si mette in relazione ai personaggi e alla storia, e evidenziando ciò che il leggere fa “vedere e sentire” nella scena del pensiero e dell’immaginazione. A chi facciamo questa proposta? A chi ha interesse o è semplicemente incuriosito, a chi pensa di poterne utilizzare i risultati in qualche ambito di lavoro – per esempio insegnanti, per esempio teatranti… – a chi ama leggere, a chi vuol provare la pratica insolita del leggere insieme, a chi pensa che l’amore per il teatro non si esaurisce nell’andare a teatro…

Giorgio Testa

Dunque questo fu il “patto”, allora e in seguito – l’ultima volta è stato a Ruvo di Puglia nel 2016, leggendo Medea di Euripide, con una compagnia teatrale “La luna nel letto”, molto attenta alla formazione ad amplio spettro di tutti i suoi molti componenti, pubblico compreso – che non ho mutato perché mi sembra chiaro e sobrio il giusto, nel delineare i tre aspetti del lavoro premesso (e promesso) che anche corrispondono, come sai bene per averli condivisi in più tratti, a tre filoni di interesse e tre ambiti professionali di tutta una vita, come ormai posso dire, avendo ormai raggiunto gli ottanta:
1. essere un’esperienza di didattica della lettura (dimensione scuola – MCE)
2. un incontro con il teatro dalla parte della partitura verbale preliminare che ne è alla base in una, ma non unica, modalità di far teatro di lunga durata (dimensione educazione al teatro – CTE, AGITA, Casa dello Spettatore)
3. un’occasione di crescita, di conoscenza di sé, dentro un processo di gruppo e in relazione a specchio con le dramatis personae della tragedia greca e qualche incursione nel teatro moderno (dimensione “psico-terapeutica” – ASL).

Su quest’ultimo punto, che è quello che Isabelle ha soprattutto messo in luce nel suo saggio, le virgolette stanno a significare che in teoria e nella tecnica di conduzione del lavoro ho sempre inteso a non generare equivoci: sono convinto e ne ho avuto mille riprove in me e negli altri che un processo educativo intenzionale che promuova un incontro con l’arte e la bellezza, condotto in gruppo senza prevaricazioni e prediche e lezioni, attivando nei partecipanti dimensioni di sé non pensate, indicibili o non dette, contribuisce fortemente alla salute dell’anima, ma solo in questo senso lato – e antico, aggiungo – può essere definito “terapeutico”, in nessun modo aspira o pretende di guarire alcunché.

Quanto al pezzo di premessa scomparso dopo la prima volta (già alla seconda prova, che fu a Foligno, l’anno dopo, nel marzo del 1988, che fu la lettura delle Troiane di Euripide con un gruppo gagliardo di sole insegnanti) è il capoverso che indica il destinatario possibile del lavoro. Non so se ho fatto bene a toglierlo. La prima volta era giustificato dal non sapere chi avrei incontrato, né immaginavo un futuro tanto lungo del tipo d’impresa formativa proposta, le altre volte sapevo in partenza il tipo di persone che avrei incontrato, per esempio nel Il Rischio di leggere. Il rischio di crescere che l’attività si dovesse rivolgere a giovani variamente a rischio e a operatori che a scuola o in altre istituzioni se ne facevano carico era dichiarata. Mia cara, tanto mi è venuto da aggiungere come forma di ringraziamento a Isabelle e a te. Ma certo se si crea qualche buona occasione presente che di questo e altri pezzi di passato voglia far tesoro, non mi sottrarrò al dialogo. Ti abbraccio

Giorgio

2021-03-21T22:58:40+00:00